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La Casa di Carta 4 è un disastro, ma di successo

Se dovessimo indicare i 2 fenomeni di massa di questo 2020 non avremmo dubbi.

Sarebbero entrambe 2 serie Netflix, entrambe serie europee.

Se ce lo avessero detto 5 anni fa avremmo creduto nell'esistenza di un universo parallelo dove, forse, questo sarebbe potuto accadere per motivi sfuggenti alla ragione umana.

Oggi, nel nostro universo e nel 2020 D.C., ciò non solo è possibile ma è realtà.

Dalla Germania e dalla Spagna alla conquista del mondo. Dark e La Casa di Carta hanno riscosso un successo planetario impensabile. La prima è stata considerata, secondo un sondaggio su Rotten Tomatoes, la migliore serie tv targata Netflix attualmente presente al catalogo.

La seconda è andata probabilmente oltre, diventando un fenomeno pop che ha trasceso il semplice discorso legato alle visualizzazioni sulla nota piattaforma di streaming.

La stagione 4 è stata un successo che, a giudicare da come sono andate le cose, risulta assolutamente inspiegabile.

Perchè si, la stagione 4 è stata un disastro di scrittura da far impallidire l'ottava stagione di Game of Thrones.

Non è un mistero che la serie spagnola, dopo un travolgente inizio, sia diventata una ripetitiva copia di se stessa.

Una formula che si è rivelata vincente ma stantia, da tv generalista degli anni '90.

Operazione molto furba ma qualitativamente scellerata.

La banda del Professore, reiterando all'infinito il solito gioco, è finita per diventare iconica, popolare, anzi populista.

Una parola abusata oggigiorno, con una politica sempre più divisa fra sovranisti, populisti, europeisti e chi più ne ha più ne metta.

Tokyo, Nairobi, Helsinki e il resto della ciurma sono sempre stati espressione di quel popolo arrabbiato, deluso dal malgoverno, apatico di fronte alle ingiustizie.

La presa della zecca di stato ed il conseguente colpo milionario hanno risvegliato il coraggio e donato ispirazione a migliaia di persone che, indossando la maschera di Dalì, hanno provato uno spirito di appartenenza che ha dato loro nuova speranza.

La prima stagione si muoveva su queste direttrici e, obiettivamente, si muoveva bene, molto bene.

Da lì un grande successo che fu ancora più grande con una seconda stagione all'altezza ma che già puzzava di riciclo.

La terza è sembrata un reboot.

La quarta una promessa non mantenuta e soprattutto colpevole di una sceneggiatura che non avremmo visto neppure ne "Gli Occhi del Cuore".

Gli sceneggiatori hanno, chiaramente, giocato con la fidelizzazione cieca dello spettatore. Hanno riciclato per 3 anni lo stesso format, ripresentandolo con un pò di bromance in più, action più vicina a John Wick che ai Die Hard di 40 anni fa, colpi di scena improvvisi, deus ex machina come se piovessero.

Esempi ce ne sono tanti e non risparmiano nessun personaggio e nessun episodio.

Sin dalle prime battute del primo episodio di questa stagione ne abbiamo un assaggio. Un professore incastrato, inseguito da centinaia di agenti in aperta campagna, riesce a seminare un vero e proprio esercito senza una logica spiegazione. Il come è un dettaglio lasciato alla fantasia dello spettatore.

Pensiamo, ad esempio, all'introduzione, o meglio all'esaltazione, del personaggio di Gandia.

Era dai tempi di Hitman, con Timothy Olyphant, che non si assisteva ad un tale distillato di azione e di invulnerabilità. Gandia è sembrato un personaggio "bullet proof", emerso dalle pagine di un fumetto di serie B. Unica differenza: Hitman era la trasposizione di un videogame, la casa di Carta, pur nelle sue esagerazioni, vorrebbe garantire, nelle intenzioni, una certa aderenza con la realtà o quantomeno una verosimiglianza e coerenza rispetto alla sua narrazione interna.

E ancora Nairobi e la sua continua sfida con la sorte, finita come non avremmo immaginato che finisse. Una conclusione progettata solo per generare il famoso "effetto wow" in chi guarda, e non per una ragione compatibile con trama e personaggio.

E come dimenticare di Alicia Sierra, ricercata da una nazione intera ma capace di eludere qualsiasi tipo di sorveglianza. girovagando per la città, con un pancione enorme (vista la gravidanza al mese numero 8)e senza uno straccio di travestimento.

Si potrebbe continuare a lungo con gli esempi e vivisezionare ogni singola scena, troveremmo ovunque delle piccole e grandi incoerenze, delle esagerazioni, delle "mutazioni genetiche" nel DNA dei nostri beniamini.

Sono scivoloni che denotano una pigrizia che, ritornando al paragone con Game of Thrones ed il suo finale, offende lo spettatore più attento.

Nessun film, nessuna serie è perfetta. I manuali del buon sceneggiatore lasciano il tempo che trovano, ma quando gli errori sono cosi grossolani da sembrare intenzionali il discorso cambia.

I fan di Game of Thrones, oltre alla delusione per una stagione finale senza senso, si sono schierati pesantemente contro la produzione proprio perchè hanno individuato decine di momenti e di cambi repentinei di rotta che persino loro, semplici spettatori, avrebbero saputo scrivere meglio.

E' come chiedere ad un sommelier di aprire 10 bottiglie di vino, di versarne il contenuto in 100 calici e ottenere come risultato del sughero sgretolato all'interno della bottiglia e una tovaglia imbevuta di vino, colato a gocce nel tentativo di versarlo nei calici.

Sono errori che ti aspetteresti da un bambino, e che una figura esperta non commetterebbe neppure bendato e con una delle 2 mani legate.

La casa di Carta è caduta nello stesso, identico, vortice di gaffes e obrobri a livello di scrittura.

A differenza di Game of Thrones, ha subito meno critiche e tanti elogi.

Probabilmente il pubblico ha categorizzato La casa di Carta come un prodotto di puro intrattenimento, a cui tali sciocchezze possono essere perdonate.

La serie spagnola si è ritagliata un posto importante alla tavola dei grandi in questi anni, un posto che ha sicuramente meritato grazie ad un'idea iniziale che mescolava l'anarchia e la rivoluzione che, grazie anche all'uso delle maschere, strizzava l'occhio a V per Vendetta, l'heist movie più classico, alla Point Break, alla The Town, riuscendo a cavalcare un sentimento reale che ha accompagnato il pubblico, i cittadini, soprattutto europei, negli ultimi 10 anni. Quel sentimento è l'odio, la rabbia verso gli organi centrali, come le banche.

Anno dopo anno questa serie di protesta, di incitamento alla rivoluzione è diventata lo spauracchio di se stessa, diventando nient'altro che un prodotto di merchandising, ben confenzionato e con uno storytelling vincente.

La quarta stagione, qualora ci fosse ancora bisogno di ripeterlo, intrattiene benissimo, accontentando quella enorme fetta di pubblico che vuole solo "staccare il cervello" quando accende la tv, ma delude pienamente, costruendo una storia insipida, raffazzonata e umiliante dal punto di vista dello sviluppo.

La quinta stagione sarà l'ultima. La speranza è che essa possa concludersi dignitosamente e non con l'ennesimo ripetitivo schema visto nelle ultime 2 stagioni.



 

Trama: 5

Sviluppo Personaggi: 5

Complessità: 5

Originalità: 4

Impatto sulla serialità contemporanea: 6,5

Comparto tecnico: 6

Regia: 6

Intrattenimento: 9

Coinvolgimento emotivo: 7

Soundtrack: 6


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