L'esordio di HBOMax non era stato dei migliori.
Costretto a rinviare la tanto attesa reunion di Friends, causa covid-19, la piattaforma streaming della HBO era riuscita a stappare lo champagne lo scorso maggio presentando la prima serie tv originale, dal titolo Love Life e con protagonista Anna Kendrick.
Un debutto sottotono e soprattutto distante dai canoni HBO, fatti di originalità, qualità e coraggio.
Love Life era invece sembrato un prodotto semplice e poco coraggioso e di certo non originalissimo seppur godibile.
Per fortuna di noi tutti, specie di noi adepti della Home Box Office, il secondo prodotto originale di HBOMax incarna totalmente i requisiti di originalità, qualità e coraggio aggiungendovi una buona dose di visione, un budget enorme e una ricercatezza fantascientifica degna dei migliori sci-fi visti sul grande schermo e sul piccolo.
Non è un caso se a guidare questa operazione vi sia un nome che da solo è capace di attrarre pubblico e calamitare l'attenzione, uno dei padri della cinematografia contemporanea, uno di quei registi di cui tutti conosciamo il nome e di cui quasi tutti conosciamo almeno un film.
Ridley Scott firma Raised By Wolves, lo sci-fi che prosegue la tendenza 2020 che sta vedendo un prepotente ritorno della fantascienza in tutte le sue sfaccettature, da Devs a Tales From The Loops fino ad arrivare appunto a questa gemma del padre di Blade Runner, Alien e The Martian.
Sono tanti i temi cari al regista che qui vengono riproposti.
In occasione della pubblicazione del mio articolo di ieri mattina su Ted Lasso, vi avevo anticipato come nello scegliere quale delle 2 serie tv sarebbe stata l'oggetto della mia analisi la scelta fosse ricaduta sul coach di Apple TV a causa della semplicità e leggerezza con la quale sarebbe stato possibile affrontare qualsivoglia discussione rispetto alla serie della casa di Cupertino.
Leggete quel post e dimenticate tutto.
Raised by the Wolves è al lato opposto dello spettro seriale.
Comicità inesistente, gravitas massima, voglia di raccontare l'irracontabile, budget altissimo, filosofia tutta da scrivere e che abbraccia millenni di esistenza del genere umano, mitologia estesa senza alcun punto di riferimento reale, gli esseri umani più veri e coraggiosi sono degli androidi, plot twist come se piovesse, arzigogolatissime montagne russe emotive e narrative.
Ecco perchè scrivere di Raised By Wolves è un peso ed una responsabilità.
Il rischio è di non riuscire a trasmettervi la grandezza del prodotto e l'emozione provata nel vederla (numericamente potrei convincervi semplicemente invitandovi a leggere in quale posizione si trovi nelle classifiche 2020: novità, tutte, episodi)
Ma con Raised By Wolves il rischio è duplice e non si ferma alla possibilità di non trasmettervi il giubilo personale. La serie di Ridley Scott è talmente stratificata e ambiziosa da confondere, da intontire come se si fosse stati travolti da un gancio di Mike Tyson. In questi casi sono 2 le reazioni che tipicamente vengono istintive: amore incontrastato e incrollabile, e dunque massima fiducia, oppure crollo delle certezze e dell'attenzione, e dunque conseguente abbandono.
In qualche gioco a quiz nostrano di alcune decadi fa credo si dicesse "lascia o radoppia".
Ecco, con Raised By Wolves vi troverete, tardi o presto, di fronte a questo bivio.
E allora giusto per buttarla più sul profano vi basti sapere che oltre all'accoppiata micidiale HBO-Ridley Scott c'è un altro motivo, più strettamente seriale, per dare una chance a questa meraviglia.
L'approdo della serie ci permette di ritrovare un nostro beniamino, uno a cui volere bene a prescindere, che sotterrata l'ascia vichinga e tagliato il codone ritorna per salpare su un altro pianeta.
Travis Fimmel, l'indimenticato Ragnar Lothbrok, ci delizia con la sua presenza e ci offre il solito turbinio di occhi spiritati, sorrisetti a mezza bocca, sguardi allucinati e un vigore amorfo ma presentissimo.
A fine stagione, in maniera sorprendente rispetto alle attese iniziali, sarà proprio il suo personaggio a lasciare i maggiori dubbi, vittima di un percorso lungo e faticoso e del quale, per larghi tratti, avremmo fatto a meno. Sembra abbastanza certo che nella seconda stagione quello che abbiamo visto nella prima emergerà in maniera dirompente, incastrandosi molto più facilmente nella storyline principale.
Al contrario di quanto ci sarebbe atteso, infatti, non è su Travis Fimmel che si poggiano le basi narrative della serie ma su 2 androidi: Father e, soprattutto, Mother.
I 2 "inumani" sono stati catapultati su un pianeta apparentemente deserto con lo scopo di fungere da allevatori di alcuni bambini che, nell'idea primordiale, dovranno essere la speranza e la resurrezione di un genere umano oramai allo stremo e sulla via dell'estinzione.
Se l'ambiguità di Marcus (Travis Fimmel) ci aiuta a capire le credenze, la fede, la superstizione, la struttura gerarchica di quel che resta della razza umana, è con Mother (un'eccezionale Amanda Collin) che Scott offre il meglio di sè, elevando all'ennesima potenza la poetica che da decenni prova a ribaltare sul pubblico.
L'androide è lo strumento perfetto per definire il concetto di "umanità", di empatia, coraggio, maternità, scopo, senso della vita stessa.
Un ribaltamento caro a Scott sin dai tempi di Blade Runner.
Può, un insieme di codici binari, di cavi, di liquidi refrigeranti e di circuiti, riuscire ad interpretare la vita meglio di un essere umano?
Spogliato di invidie, gelosie, testardaggini, avidità, questo nuovo essere potrebbe essere la risposta ai milenni di distruzione e autodistruzione inflitta dall'uomo a se stesso e al pianeta che lo ospitava?
Mother e Father rappresentano al tempo stesso Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden (ed il richiamo che vediamo nella puntata finale è palese) ma anche Giuseppe e Maria, ovvero 2 uomini (androidi) chiamati a mettere al mondo, allevare, accudire chi sarà destinato ad essere la salvezza e la rinascita di una nuova specie di essere umani, guidati da androidi programmati ad insegnare loro valori e principi oramai estinti.
Capite bene che sono concetti difficili, ancestrali ed universali ma che godono di un'accattivante cornice, rurale e bucolica ma anche desolante e asettica.
Gli effetti digitali ed il lavoro fatto soprattutto su Mother sono di livello altissimo ed in certe inquadrature sembra di essere di fronte ad un film di Terence Malick.
La fotografia è infatti stupenda e spesso la suspence raggiunge vette inesplorate.
E' però il non detto, il non raccontato, il non visto a tenere banco e a tenerci saldamente in bilico fra l'allucinazione e la realtà.
In questo spazio si muove magistralmente Raised By Wolves, scherzando con il fuoco ma dimostrando di saperlo addomesticare con sapienza e visione d'insieme.
Visivamente e narrativamente sono poche le serie capaci di tenere testa, capaci di dimostrare quel tipo di ricercatezza e raffinatezza. Esteticamente estatici sono gli episodi che aprono e chiudono la prima stagione.
Una purezza che commuove e una capacità di spingersi oltre che rende orgogliosi di appartenere ad un genere umano che possa vantare Ridley Scott e chiunque ci sia dietro HBO.
La seconda stagione è stata già annunciata e potrebbe diventare uno degli eventi del prossimo biennio.
Dopo la falsa partenza arriva la grande riscossa di HBOMax, e che rivincita!
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