Orfani di Downtown Abbey?
Innamorati della Grande Mela?
Appassionati di Period Drama?
Eccola qui che è finalmente arrivata The Gilded Age, nuova opera di Julian Fellowes, papà di Downtown Abbey e qui nuovamente alle prese con un drama storico.
Stavolta il caro Giuliano ha abbandonato i castelli di sua maestà la regina in favore di più contemporanei palazzoni, non meno sfarzosi, e di dinamiche interpersonali più moderne e meno nobili.
Come potrete capire dall'incipit, che sia un castello o una casa sulla leggendaria quinta strada newyorchese, al signor Fellowes devono piacere un mondo le serie tv con donne in corsetto, gentiluomini in frack, giovani debuttanti e case zeppe di camerieri, maggiordomi, cuochi e maestranze varie.
Sostituite il nome Downtown Abbey con il più sfarzoso The Gilded Age, trasferitevi nella New York di fine ottocento ed il gioco è fatto.
Ecco a voi la nuova, attesissima serie di HBO targata, appunto, Julian Fellowes.
Perchè vedere The Gilded Age se è, di fatto, una Downtown Abbey nella grande mela?
La risposta è nella domanda (ammazza come sono zen oggi!).
Se vi è piaciuta Downtown Abbey, non potrà non piacervi The Gilded Age.
Le premesse dei primi episodi ci portano esattamente nei castelli di Robert Crawley e famiglia.
Stanze enormi, banchetti sfarzosi, cura dell'aspetto, attenzione ai cerimoniali, voglia di emergere, ossessione per essere un pezzo importante della società, gente molto ricca, gente molto povera, gente molto povera a cui piace lavorare per la gente ricca, gente molto povera che odia lavorare al servizio della gente ricca, gente ricca con dei segreti, gente povera con del talento, gente emarginata, gente viziata, gente schizzinosa, gente molto a modo.
C'è tanta gente, vestita con abiti d'epoca, che salta da una carrozza all'altra, da un evento mondano all'altro e che vorrebbe primeggiare al cospetto di tanta altra gente snob, vestita con abiti d'epoca e che salta da una carrozza ad un'altra.
C'è però un importantissimo ribaltamento rispetto alle dinamiche viste in Downtown Abbey.
Nella serie ambientata nel castello dei Crawley, c'era una palese volontà da parte di Fellowes di mostrare il lato umano dei ricchi, nobili e potenti dimoranti del castello. La scala sociale era solo un ostacolo per far si che anche i ricchi potessero in qualche modo "scendere" al livello dei poveri. C'erano usanze e tradizioni che imponevano un distacco fra gli uni e gli altri, distacco che non era mai feroce e mai cosi imponente da rappresentare un dogma.
In The Gilded Age, invece, c'è una contrapposizione fra 2 forze ugualmente emancipate ed ugualmente titolate ad essere i "re", "le principesse" della New York di quegli anni.
Da un lato l'alta borghesia della New York pre-ventunesimo secolo e dall'altra il nuovo che avanza, famiglie molto ricche ma con un pedigree assai povero.
Le vecchie famiglie vorrebbero frenare l'irrefrenabile avanzata delle nuove, qui impersonate dai Russell mentre le nuove, pur potendo permettersi qualsiasi dipinto, qualsiasi architetto, qualsiasi abito, qualsiasi ben di Dio, agognano il rispetto, l'approvazione e l'accettazione delle vecchie casate (che poi casate non sono).
Uno scontro generazionale, destinato a creare una nuova era.
Ad impreziosire questo big bang storico c'è un cast eccellente dove spicca una mia vecchia fiamma seriale come Carrie Coon (The Leftovers, Fargo, The Sinner), accompagnata da Cinthia Nixon (Sex And City), Christine Baransky (The Good Wife, The Good Fight) e Morgan Spector (The Plot Against America).
La tavola è apparecchiata (ovviamente dai camerieri di palazzo).
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