E' strano notare come, nell'anno del distacco dal calcio giocato, degli stadi vuoti, dell'assenza del tifo, il calcio sia diventato protagonista assoluto del panorama seriale.
Mai avevamo visto il calcio essere messo al centro della scena prima d'ora.
Sul finire del 2020 è arrivata Ted Lasso (qui la recensione), ed è stato subito amore, un amore genuino che, mi piace immaginare, è riuscito a spingere la serie, con protagonista Jason Suidekis, fino alla vittoria di ambitissimi premi come il Golden Globes ed i Critics Choice Awards, in attesa dei prossimi Emmy, dove le quote SNAI daranno la serie sicuramente tra i favoritissimi.
Da qualche giorno anche in Italia, e grazie a Sky (sempre sia lodata), il binomio calcio-serialità è su tutte le prime pagine e i blog degli appassionati dell'uno e dell'altra.
Nel paese dei 65 milioni di allenatori c'era forse solo un nome che avrebbe potuto accontentare tutti, riuscendo ad unire tifosi ed appassionati e non a dividere, polarizzare un racconto su una leggenda del calcio italiano, ed internazionale.
Francesco Totti e la sua vita sono i protagonisti di Speravo De Morì Prima, prima serie tv "calcistica" italiana, in onda su Sky a partire dal 19 Marzo 2021.
Ad interpretare il ruolo del "pupone" è il sorprendente Pietro Castellitto, figlio del grande Sergio.
Sorprendente è un aggettivo utilizzato spesso quando si tratta di attori giovani e/o sconosciuti.
In questo caso il termine assume una valenza piena in quanto devo ammettere che, alla notizia della scelta di casting di Castellitto nel ruolo dell'amatissimo Totti, avevo storto il naso. A primo acchitto, non notavo somiglianza alcuna e non provavo verso Castellitto alcun legame intuitivo rispetto alla figura dell'ex capitano giallorosso (scusatemi ho detto ex...perdono, perdono! Si sa che il capitano è come un diamante, è per sempre.).
E invece com'è o come non è, Pietro Castellitto convince a 360°.
Il suo non solo è un Totti credibile ma è a tratti quasi un Totti al quadrato.
La parlata, più di ogni altra cosa, mette i brividi per quanto ricorda la cadenza e il ritmo di quella del capitano. Lo strascicare le parole, la timidezza sorridente, la vivacità e la fanciullezza delle parole semplici e talvolta mal pronunciate. Chi ha nella mente le interviste di Totti, il suo prestarsi continuamente a gag televisive, il suo non sottrarsi mai al pubblico, ai tifosi e al circo mediatico intorno a lui, ritroverà in Castellitto tutto quello che Totti è stato e continua ad essere anche fuori dal campo.
Convinto e soddisfatto oltre ogni aspettativa, della serie che se avessi avuto il figlio di Sergio dinanzi a me mi sarei alzato in piedi gaudente e plaudente urlandogli dei sonori "Bravo! Bravo! Bravo!".
Ed un bravo lo merita anche quello che potremmo considerare il "villain" di questi primi episodi e, a giudicare dalla sinossi rilasciata, di tutta la stagione. Gianmarco Tognazzi interpreta Luciano Spalletti, ultimo allenatore di Francesco Totti e vero tallone d'achille del Pupone nei suoi ultimi anni di carriera. Anche qui somiglianza pazzesca con l'allenatore toscano e una capacità di riproporne i tratti distintivi della parlata, delle microespressioni facciali e della mimica davvero clamorose.
Bravi gli attori ma bravissimi coloro i quali hanno setacciato video e album a caccia del perfetto attore a cui proporre una parte e l'altra. Chapeau!
Ma veniamo alla storia.
Quella di Francesco Totti la conosciamo tutti.
Immenso talento, calciatore longevo, carriera fenomenale, capitano della Roma per 2 decadi, esordio a 16 anni in serie A, ottavo re di Roma, idolo di un'intera città.
Ma Francesco Totti è stato (e continua ad essere) anche l'eroe della gente, il campione a portata di mano, il faro di un'intera generazione di tifosi romanisti, indiscusso leader in campo, ragazzo vispo e sorridente, uomo del popolo.
Totti è colui il quale, per oltre 20 anni, ha resistito alle sirene milionarie dei più grandi club al mondo, ha gettato il cuore oltre l'ostacolo sempre, è tornato mille volte dopo tanti infortuni, ha continuato a lottare in campo e fuori per la sua Roma.
Ha riportato lo scudetto nella capitale (regalandoci la Ferilli al Circo Massimo tra le altre cose...), ha conquistato un mondiale con la nazionale, ha mostrato talento e coraggio come pochi hanno saputo fare ma soprattutto è sempre stato leale al suo popolo.
Anche nei momenti più bui, quando chiunque avrebbe salutato per dirigersi verso mete più ricche e dove avrebbe potuto godere di trattamenti ben più benevoli dalla stampa, dagli arbitri, dalle grandi rassegne internazionali, e dove avrebbe potuto vincere scudetti e Champions come fossero partite di briscola, ambire a numerosi palloni d'oro e premi Fifa, anche in quei momenti Francesco Totti è rimasto ancorato alla sua realtà sportiva e vitale.
Roma e Totti, Roma è Totti.
Speravo de morì prima è la scritta che comparve su uno striscione dello stadio Olimpico il 28 Maggio 2017, quando il capitano, unico e solo, diede l'addio al calcio e alla sua magica Roma (che poi sarebbero la stessa cosa per uno come lui) con i 41 anni alle porte ed un cuore strozzato dalla non accettazione che quel sogno sarebbe finito.
La serie tv si appropria di quello striscione e prova a trasferire quello straordinario e pittoresco encomio all'interno della storia che si propone di raccontare.
E ci riesce.
Egregiamente.
Speravo de morì prima è un capolavoro della semplicità e della leggerezza, ma badate bene; essa riesce a trasmettere anche il dramma intimissimo del capitano, il dramma di un ragazzo nato con un dono e che con quel dono ha convissuto come fosse parte di sè e dal quale non avrebbe mai voluto separarsi.
Mi ha ricordato tantissimo quello stupendo e meraviglioso tributo che il compianto Kobe Bryant offrì al suo amato basketball, nel cortometraggio premio Oscar Dear Basketball (qui la recensione). L'efficacia con cui questo inevitabile distacco viene raccontato è resa ancor più potente dalla scelta di focalizzarsi sugli ultimi 2 anni di carriera del pupone. Sono anni in cui Rudy Garcia, allenatore che aveva ringiovanito un Totti alla soglia dei quarant'anni, viene licenziato da allenatore della Roma e una vecchia conoscenza di Totti e della Roma gli subentra.
Luciano Spalletti era stato uno degli allenatori più determinati per il capitano. Quasi un mentore. Con lui Totti aveva sfiorato 2 volte lo scudetto.
I 2 si erano lasciati con dei non detti, con dispiacere che nessuno dei 2 avrebbe mai pensato di poter rivangare un giorno o l'altro.
E cosi, quello che sarebbe dovuto essere un alleato divenne un nemico, il villain di cui vi parlavo all'inizio.
Gli acciacchi e l'età stavano instillando in Totti il pensiero terribile che prima o poi quelle scarpette avrebbe dovuto appenderle al chiodo.
L'approdo di uno Spalletti sul piede di guerra fu il colpo di grazia per le residue velleità del campione romano.
Ma i miti sono destinati ad autoalimentarsi.
Tutti sappiamo come è andata a finire.
Con quello striscione.
Con quella scritta.
Oggi la serie prova ad arricchire ulteriormente la leggenda di Francesco Totti, mostrandoci il lato intimo e umano del capitano, un capitano che non accetta l'usura del tempo, che non vuole lasciare andare via il suo sogno, il suo compagno pallone, la sua spensierata vita da calciatore.
I primi 2 episodi di Speravo de morì prima convincono enormemente, dunque.
Un Pietro Castellitto favoloso, un cast eccellente tra cui spiccano anche una eccelsa Monica Guerritore ed un'ottima Greta Scarano, una storia leggera e divertente, un tocco quasi documentaristico, permettono a questa serie, capace di non prendersi sul serio, di spiccare il volo, in tutta la sua magica semplicità.
コメント