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The White Lotus è profondissima anche se non sembra

I film dei fratelli Coen hanno segnato la vostra formazione cinematografica?


Quando sentite parlare di "humor nero" drizzate le antenne?


Le prove corali vi attizzano più di una performance da oscar di un grande attore o di una grande attrice?


Cercate qualcosa che vi faccia riflettere senza farvi necessariamente cadere in depressione?


The White Lotus, oltre ad aver fatto parlare moltissimo di sè, vi permetterà di sorridere e interrogarvi sul mondo e forse anche su voi stessi.

Non tutti lo capiranno, un numero sufficiente di persone lo apprezzeranno, altri penseranno che si tratti di una commediola malriuscita, alcuni di un dramma patinato e banale.

Il vostro serialfiller lo trova semplicemente imperdibile e se avrete qualche minuto di pazienza proverò a spiegarvi perchè, ma solo dopo quella che diventerà per voi futuri spettatori di The White Lotus una foto iconica del nostro Armand.

Voi che leggete questo blog quotidianamente (grazie mille a proposito) avrete di sicuro buttato un occhio sulle mie first impression (il post è proprio a questo link se volete recuperarlo). Inutile dire che la prime impressione è stata ampiamente confermata. The White Lotus è entrata nelle mie grazie allora e da quel momento non ne è più uscita. Il merito è sicuramente quello di aver messo avanti a tutto la scrittura e l'evoluzione dei personaggi, sempre magnificamente imperfetti e sempre mossi da un filo invisibile che potremmo chiamare destino ma che, specie nell'ultimo episodio, sembrerebbe essere, più che altro un moto d'inerzia causato dalle dinamiche interpersonali e sociali che oggigiorno governano il mondo.

La serie HBO (sempre imbattibile in quanto a produzioni seriali) è riuscita, in soli 6 episodi, a costruire un percorso individuale fortissimo e credibilissimo per almeno mezza dozzina di personaggi, riuscendo ad incastrare le linee narrative di ciascuno con quelle delle altre, andando a comporre un quadro desolante e granitico di quella che oggi potremmo definire la nostra società.

Il resort di lusso hawaiano, denominato appunto The White Lotus, è la cornice perfetta per ricamare determinate storie e fornirci una pregiatissima coperta di lana con la quale coprire ogni atto, intimo o urlato che sia, compiuto su questa transitoria spiaggia chiamata Terra.

Banalizzando fortemente quella che è la volontà degli autori potremmo dire che la serie è un ritratto coloratissimo di quella che potremmo definire la lotta tra ricchi e poveri, tra predestinati ed emarginati, tra integrati e discriminati, tra cattivi e buoni.

Armond, Paula, Belinda e Kay (ed in parte Rachel) da un lato, i Mossbacher, Shane, Tanya (ed in parte Rachel) dall'altro.

Storia di una nazione che fatica ad andare avanti, fatica, nonostante gli eventi storici, i secoli che passano, gli insegnamenti della storia, a staccarsi dagli archetipi che un tempo puntavano al KKK, al colonialismo, allo schiavismo e che oggi hanno assunto forme forse più pacate, tollerate, smussate, sorridenti, concilianti ma non per forza di cose più tolleranti ed equilibrate.

La grandezza di The White Lotus è averci mostrato come i cosiddetti "losers" al termine della giornata finiranno sempre per cadere, per perdere, per raccogliere i cocci di un vaso rotto mentre i privilegiati uomini bianchi e di potere usciranno sempre con le scarpe linde e pinte, anche dopo aver vagato nei fanghi e nelle sabbie mobili della vita.

La parabola di Armand è quella di un uomo vizioso, scontroso ed eccentrico che, anche da una posizione di discreto potere all'interno del resort, nulla potrà contro un uomo bianco e ricco viziato, maleducato e bambinesco come Shane. Quale che sia il motore che spingerà Armand a massima velocità egli sarà sempre superato dallo Shane di turno, semplicemente perchè la sua macchina sarà truccata.

E che dire di Kai e Paula, che anche quando ipotizzeranno e toccheranno con mano una riscossa sociale e individuale finiranno per essere irrimediabilmente affossati.

Per non parlare di Belinda, relegata al ruolo di amica, compagna di chiacchierata, oggetto degli sfoghi dei pomposi, lamentosi e schizofrenici ospiti del resort e finemente illusa di poter essere qualcosa di più.

Per loro 4 le regole del gioco sono e saranno sempre diverse delle "star" del villaggio, disfunzionali e capricciose ma sempre dalla parte giusta della storia e del potere. Nella catena alimentare loro saranno la punta della piramide in qualsiasi circostanza mentre gli Armond e le Belinda di questo mondo saranno la base che tutto regge ma le cui spalle soffriranno le pene dell'inferno ed il cui sostentamento altro non sarà che le briciole cadenti dal vertice della piramide.

A porsi in mezzo a questi 2 fuochi è forse il personaggio più sorprendente e interessante della stagione (oltre che il più bello da ammirare per il pubblico maschile). Rachel, interpretata dalla sinuosa Alexandra D'Addario, è una giovane donna in luna di miele con il viziatissimo figlio di papà (e di mammà) interpretato da Jake Lacy (anche lui bravissimo e che vi ricordo aver partecipato brillantemente a quel sottovalutatissimo gioiello che è stato High Fidelity e che qui avevo recensito). Rachel è però anche una giovane donna che vorrebbe la sua indipendenza e sarebbe disposta a tutto pur di non essere legata a doppio filo al suo ricco maritino. La ragazza si renderà conto, proprio durante la luna di miele, di essere diventata un clichè, di essere stata sposata con l'unico obiettivo di essere esibita, di essere diventata la più classica delle donne oggetto, una "trophy wife" a tutti gli effetti.

Ne seguirà una crisi esistenziale profondissima che la porterà vicinissima a gesti inconsulti ed estremi ai quali tuttavia non riuscirà a dare seguito.

La sua è, a mio avviso, una figura fortemente drammatica, ammantata del vero dramma di cui le grandi opere ricoprono i propri personaggi migliori. Donna bellissima e ora ricchissima ma tristemente sola e relegata, per il resto della propria vita, al ruolo di suppellettile, di ornamento della vita di qualcun altro.

Se c'è tragedia peggiore di questa è forse quella di essere finiti in questa spirale e rendersene conto. Rachel arriva a questa giusta conclusione, troverà il coraggio di esporsi e cambiare il proprio destino ma tornerà inesorabilmente (e ipocritamente?) indietro come un tentato suicida che prepara il cappio, vi infila dentro il collo ma poi non stacca i piedi da terra.

Il suo essere contestualmente parte del problema e parte della soluzione, essere una ricca a metà, un'emarginata a metà, fa di lei un personaggio estremamente fragile e umano e incredibilmente attuale.

In conclusione, The White Lotus è una serie da non perdere, capace di creare un ritmo piacevolissimo (coadiuvato anche da una musica eccezionale ed efficace) sia nelle dinamiche tra i personaggi, sia dal punto di vista narrativo, e che riesce a parlarci francamente, ed elegantemente, di quella che oggi è divenuta la nostra strana, apatica e irrigidita società.

Il prossimo sabato restate a casa, non andate all'Ikea, lasciate i centri commerciali agli altri zombie, posticipate le faccende di casa e regalatevi 6 ore sul resort hawaiano più pazzo e illuminante del mondo.



Sviluppo Personaggi: 9,5

Complessità: 8

Originalità: 8

Autorialità: 9,5

Cast: 7++

Intensità: 6

Trama: 8

Coerenza: 8

Profondità: 9,5

Impatto sulla serialità contemporanea: 6,5

Componente Drama: 8

Componente Comedy: 7

Contenuti Violenti: 2

Contenuti Sessuali: 3

Comparto tecnico: 7++

Regia: 7

Intrattenimento: 9

Coinvolgimento emotivo: 6,5

Soundtrack: 9

Genere: Drama

Produzione: HBO

Anno di uscita: 2021

Stagione di riferimento: 1





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2 Comments


Enrico B.
Enrico B.
Nov 01, 2021

Sono arrivato a The White lotus dove aver visto Utopia del 2013 perchè sono rimasto rimasto esterefatto sia dalla serie che dalle musiche e dunque cercando Cristobal Tapia mi è venuto fuori.

Paragono le musiche di Utopia 2013 a quelle di 28 giorni dopo per la bellezza d'espressione cioè le musiche da solo fanno un film!


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Enrico B.
Enrico B.
Nov 01, 2021

Questa serie è fatta bene bene magari fossero tutte così.

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