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Watchmen - Lindelof - HBO: Rivoluzione e innovazione fa rima con rivisitazione

Per gli appassionati di serie tv la HBO è come Wembley per un calciatore degli anni '90, come la camera dei comuni per un aspirante politico, come Woodstock per un chitarrista. E' una sorta di tempio virtuale dove rifugiarsi in qualsiasi momento e ritrovare l'equilibrio perduto, l'entusiasmo sopito.

Damon Lindelof è, invece, una sorta di messia seriale. Un uomo che ha sperimentato assurde teorie, messo in scena peculiari realtà, più o meno parallele, avuto visioni non sempre facili da acciuffare. Ci ha tramortiti con Lost, ha spiazzato tutti con quel finale ancora oggi oggetto di ampio dibattito, ci ha traumatizzato e risollevato con la celestiale vacuità di The Leftovers, con la classe e la leggiadria del santone, di chi sa di saperne più di te, di chi sa di aver messo in scena atmosfere e sensazioni solitamente difficili da trasmettere su uno schermo.

Watchmen è il Dark Side of the moon di ogni NERD, o per essere blasfemi, la bibbia fumettosa che ogni essere umano dovrebbe avere in bella vista in libreria.

Nel 2018 giunse la news che portò quella vibrazione, quell'eccitazione palpabile, cross-mediale tra i milioni di fan della graphic novel, quelli a cui era piaciuto il film e quelli che di Lindelof e della HBO non si sarebbero stancati facilmente.

La HBO ordinò una stagione da 10 episodi ispirata alla graphic Novel di Alan Moore.

Al timone Damon Lindelof.


Tra la diffusione della notizia e la messa in onda del pilot successe di tutto. Il dibattito raggiunse vette di sana follia e un grado di partecipazione globale di Gameofthronesiana memoria.

Fu lo stesso Alan Moore ad alzare il livello della polemica, o quantomeno della polarizzazione fandomica, bollando a priori come illegittima quell'operazione.

In pratica il creatore della graphic novel più esiziale del mondo boicottò la nascente trasposizione seriale.

E via con la guerra sul web, a colpi di tweet, dichiarazioni, smentite e chi più ne ha più ne metta.

Alcuni chiedevano la chiusura prima ancora che la serie potesse mettere giù la prima pietra, altri criticavano il Dio Moore, altri tremavano all'idea che Lindelof potesse rovinare la serie, altri ancora non vedevano l'ora che il pilot andasse in onda.

Il nostro caro Damon fece pochino per tranquillizzare i milioni di fan around the world, basti pensare che sino ad un istante prima della messa in onda si rifiutò di indicare se si stesse andando incontro ad un sequel, un prequel, una trasposizione, un riadattamento, un remake del film e cosi via.

Mistero totale.

Vi erano solo rassicurazioni sul fatto che, data la sacralità del materiale originale, HBO e Lindelof si erano avviati ad un lavoro che era nato solo grazie ad un grado di sicurezza e confidenza elevatissimo nella sua riuscita finale.

E come si suol dire, il resto è storia.


Una storia che verrà tramandata, raccontata ai nipotini che, divenuti adolescenti, chiederanno di quella vecchia serie tv mandata in onda quando in U.S.A. era Donald J. Trump il presidente e la discrimazione razziale esisteva ancora.

In una multinazionale la chiamerebbero "a success story", nel mondo reale è semplicemente l'incontro fra un emittente intelligente, un autore geniale ed una storia senza tempo.

Eppure il pilot non aveva dato l'impressione che la serie sarebbe potuta essere quella che poi si è rivelata.

A ripensarci, era stato accolto con positività ma anche con riserva. Della serie: "aspettiamo qualche episodio prima di giudicare".

Quell'episodio è , poi, arrivato e dal quinto al nono è stato un pullulare di: "questo è l'episodio più bello dell'anno, impossibile fare meglio"; salvo essere smentiti puntualmente 7 giorni dopo.

Little Fear of Lighting, This extraordinary being (vincitore di un emmy 2020), An almost religious Awe, A God Walks into Abar, sono tutti episodi che presi singolarmente potrebbero essere il miglior episodio di un qualsiasi anno, in un qualsiasi universo.

Ma aldilà della specificità delle singole puntate, se Watchmen è stato il successo che è stato è merito dell'impostazione che si è data alla serie, del ragionamento che ha portato Lindelof e compagni a realizzare il tipo di serie che abbiamo visto.

L'autore di Lost e The Leftovers ha evitato qualunque tipo di scopiazzatura del materiale originale, con il quale chiunque sarebbe uscito sconfitto da un confronto ad armi pari, riproponendone però lo spirito in maniera fedele. Un'operazione difficile e intelligente che si è rivelata anche efficace. Lindelof è, infatti, riuscito a rispettare il materiale originale, rinnovarlo, attualizzarlo. Questa impostazione ha trovato il favore di tutti. Non solo pubblico e critica ma le varie fazioni che componevano il pubblico, e le critiche, intese proprio come preventive e "partitiche" polemiche che hanno preceduto la serie stessa.


Per fare un breve recap spoiler free, e soprattutto per dare contesto all'Osanna fin qui recitato in favore di Watchmen, è importante sottolineare come la serie sia di fatto un sequel rispetto agli eventi del 2 Novembre 1985 avvenuti a New York, è ambientato ai giorni nostri e sostituisce la paranoia antisovietica con quella razziale.

La guerra fredda è stato un periodo buio per la storia dell'umanità, un periodo che ha saputo ispirare romanzi, fumetti, film, come forse nessun altro periodo storico prima e dopo, generando, di riflesso una paranoia verso la Madre Russia che è entrata sotto pelle ad ogni cittadino americano,ad ogni occidentale.

Lindelof ha evitato di riproporre una guerra "vecchia" come quella fredda, ha saltato, da bravo ostacolista, la bomba paranoide anti-russa e anti atomica trasponendo quelle stesse ansie, quelle stesse angoscie, quello stesso livore, ai giorni nostri.


Questa volta sarebbe stata Tulsa il centro del mondo e la nequizia suprematista il tema attorno a cui organizzare il suo personalissimo Watchmen.

Tristemente ritornato alla ribalta in questo 2020, cruciale per il movimento Black Lives Matter, il cosiddetto massacro di Tulsa apre il Watchmen seriale. Per rispolverare un pò di storia, tale evento vide l'uccisione e il ferimento di centinaia di afroamericani nel 1921 ad opera di suprematisti bianchi a cavallo tra il 31 maggio ed il 1 giugno. Una tragedia dimenticata che Watchmen ha tirato fuori dal cassetto e che è nuovamente tornata all'ordine del giorno anche grazie alla scelta di Donald Trump di aprire la sua campagna elettorale proprio a Tulsa, a 99 anni di distanza da quell'abominio, segno che, quasi un secolo dopo, tanta strada è stata fatta ma tanta ce ne è ancora da fare. Notizia recente è che il cestista più forte e famoso degli ultimi 20 anni, Lebron James, produrrà un documentario proprio sul massacro di Tulsa.

Il primario obiettivo di qualsiasi autore, sia esso uno scrittore, regista, sceneggiatore, pittore, scultore, è, presumibilmente, quello di lasciare il segno, risvegliare le coscienze, far riflettere.

E' innegabile che il Watchmen di HBO abbia avuto il coraggio di affrontare un tema troppo spesso taciuto, mettendo un'opera cardinale, come quella di Alan Moore, al servizio di un messaggio tanto universale quanto cruciale per la contemporaneità.

Lo ha fatto tenendo altissima l'asticella sia della componente action che di quella diegetica.

Il risultato finale è stato imponente.



Lindelof non solo è riuscito a portare sullo schermo un'opera di una complessità assoluta ma ha anche avuto il merito, troppo spesso ignorato, di aver trattato il materiale originale con un garbo ed entusiasmo encomiabili.

Sono rilevanti gli easter eggs sparsi all'interno dei 10 episodi, e minuziose sono le attenzioni riservate a personaggi classici come Ozymandias, Dr. Manhattan, Rorshach, Spettro di Seta, tanto per citarne alcuni. Ad essi ha affiancato anche nuovi personaggi come Angela Abar (il premio Oscar Regina King e vincitrice dell'Emmy 2020 per la sua interpretazione di sister night), Looking Glass e Lady Trieu tanto per citare i più importanti.

Tutti hanno avuto un ruolo fondamentale nell'economia della storia, ognuno ha raggiunto, ad un certo punto della storia, una sorta di epifania di svolta, e ad ognuno di loro è stato concesso l'approfondimento necessario per elevarli a personaggi scritti e sviluppati divinamente.


Ed è anche Dio, il divino un aspetto ampiamente affrontato in questa serie. Dr. Manhattan è sempre stato una figura ibrida e controversa da questo punto di vista, sia nella graphic novel che nel film e che anche nella serie, soprattutto nella serie ha assunto una posizione tanto indecifrabile quanto affascinante. Il tema di fondo, e qui torna la linearità, l'affinità "spirituale" fra il materiale originale e la serie, è sempre quello dell'annientamento della fede, della religione, della spiritualità in un'umanità che un giorno si è risvegliata con la notizia che un uomo, uno scienziato, era stato vittima di un incidente che lo aveva reso un mostro di laboratorio, un mostro divino, con capacità intellettive e fisiche superumane, capace di teletrasportarsi e di vivere contemporaneamente su più linee temporali.

Qui, Lindelof affronta l'annichilimento finale, quello del Dr Manhattan stesso, stanco di essere qualcuno al di fuori, più che al di sopra, del genere umano. E ancora una volta Lindelof riesce a restituirci un Dr. Manhattan classico e totalmente nuovo allo stesso tempo, quasi come se avesse ereditato le capacità superumane dell'uomo blu.

Ma è l'intera serie ad essere un perfetto bilanciamento tra il rispetto quasi religioso della graphic novel ed il coraggio nell'adattare storie, messaggi e personaggi ai giorni nostri.

Un esempio catodicamente commovente è dato dal sesto episodio, This Extraordinary Being, dove la scritta Watchmen sparisce e lascia spazio a quella Minutemen. Eroi in calzamaglia che nel fumetto hanno avuto tanto spazio e che hanno rappresentato la nascita e l'evoluzione degli eroi nell'universo di Moore.

Lindelof dedica un intero episodio ad essi, riuscendo, con grazia, tatto e sana incoscienza, a non essere mai didascalico, creando una nuova mitologia coerente con se stessa e perfettamente incasellata nella mitologia preesistente.



Un lavoro certosino, minuzioso, da vero artigiano delle parole, della messa in scena e dello sviluppo di trame e personaggi.

Scottato, forse, dalle infinite polemiche seguite alla messa in onda del finale di Lost, Lindelof ha costruito, stavolta, un finale molto più lineare ed esplicativo, forse troppo.

Ha di certo sciolto tutti i nodi ma ha snaturato leggermente quello che per 9 episodi è stato un prodotto imprevedibile e complicato. E' stato comunque un buon finale, un ottimo finale, che di certo non scalfisce quanto di clamoroso è stato fatto nell'arco di tutta la stagione. Una stagione che dovrebbe essere autoconclusiva visto che, nonostante le richieste incessanti di pubblico e critica, Lindelof ha più volte dichiarato che per lui Watchmen finisce qui, a meno di idee pazzesche e degne di essere trasposte all'interno dell'universo che lui ha contribuito ad espandere. Forse è un bene, forse no. Da un lato rimpiangeremo il non poter ammirare nuove pennellate Lindelofiane, dall'altro è bello poter contare sull'immutabilità di un'opera cosi perfetta e per questo intoccabile.

C'è un passaggio del fumetto, una storia raccontata da Rorshach che, anche se fuori contesto, sarebbe bene ricordare, anche solo per rendere onore allo spessore dell'opera di Moore.

La storia recita cosi:


Un uomo va dal dottore. Gli dice che è depresso, che la vita gli sembra dura e crudele. Gli dice che si sente solo in un mondo minaccioso.
Il dottore dice: «La cura è semplice. Il grande clown Pagliacci è in città. Lo vada a vedere. La dovrebbe tirar su.»
L'uomo scoppia in lacrime. «Ma dottore,» dice, «Pagliacci sono io.»

Lindelof è stato il nostro Pagliacci, un Pagliacci che ci ha tirato su ma soprattutto ci ha fatto riflettere, ci ha reso probabilmente migliori, intrattenendoci e meravigliandoci continuamente. Una versione di Pagliacci sicuramente meno depressa e, anzi, soddisfatta di aver costruito un capolavoro che resterà a lungo un caposaldo della serialità contemperanea e non solo.

Non è un caso se Watchmen abbia dominato la stagione dei premi 2020, conclusasi con il trionfo agli Emmy 2020 (di cui qui trovate un'analisi dettagliata).

La sensazione è quella di essere stati testimoni diretti di un epocale cambiamento, nel modo di approcciare un materiale sacro come quello di Alan Moore, nel modo di "trattare" il genere supereroistico, nel modo di attualizzare perfettamente storie e personaggi apparentemente fuori dal tempo.

Possiamo chiamarlo capolavoro?



 

Trama: 9,5

Sviluppo Personaggi: 9

Complessità: 10

Originalità: 10

Cast: 9,5

Impatto sulla serialità contemporanea: 10

Comparto tecnico: 9,5

Regia: 9

Intrattenimento: 9

Coinvolgimento emotivo: 9,5

Soundtrack: 9

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